L’attenzione al corpo

di Sergio Romano

Scrive Lowen: “Io mi fido sempre di come percepisco il corpo di una persona. Non è che io sia sempre nel giusto. Ma se io non mi fido del mio percepire, allora non posso fidarmi dei sensi. Guardare il corpo e ascoltarlo è un processo continuo. In questo processo si raffinano le proprie interpretazioni, si correggono i propri errori. Il tono di voce di un paziente mi dice dove egli è, non le sue parole. Gli occhi possono mancare di espressione, cioè essere opachi o vuoti, ma anche questo dice qualcosa. La mancanza di movimento è altrettanto rivelatrice del movimento stesso. Il corpo si può considerare come il depositario di tutta la nostra esperienza, e proprio come il boscaiolo può leggere la storia di un albero quando cade, è possibile per noi leggere e conoscere la storia di un individuo dall’espressione del suo corpo”.
 

E Galimberti a proposito della psicomotricità:

“Termine che si riferisce alla attività motoria in quanto influenzata dai processi psichici e in quanto riflettente il tipo di personalità individuale. La psicomotricità studia ed educa l’attività psichica attraverso il movimento del corpo.”

  E ancora Nietsche: “Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un potente sovrano, un saggio ignoto che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo. Ai dispregiatori del corpo voglio dire una parola. Essi non devono, secondo me, imparare o insegnare ricominciando daccapo, bensì devono dire addio al proprio corpo, e così ammutolire” (1883-1885). Il punto da cui voglio partire è l’affermazione freudiana contenuta ne L’Io e l’Es del 1922 , secondo cui “il corpo, e soprattutto la sua superficie, è un luogo dove possono generarsi contemporaneamente percezioni esterne e interne (…) L’Io è anzitutto un’entità corporea, non è soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie”. In questo punto, nella traduzione inglese del 1927 è stata inserita una nota che pare essere stata autorizzata dallo stesso Freud: “Cioè l’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione psichica della superficie del corpo ed il rappresentante degli elementi superficiali dell’apparato psichico”.

Tutte le principali teorie, ad orientamento psicoanalitico e non, riconoscono come fatto inconfutabile che il Sè, all’origine, è fatto esclusivamente di esperienze corporee.

Il corpo, in ogni momento, riassume in sè la sua storia e può riattivare conflitti ed angosce che ripetono soluzioni del passato, sia pure in contesti nuovi.

Pure altri grandi studiosi, il cui pensiero si stacca dalle teorie psicanalitiche, come J.Piaget e D.N.Stern, fondano le loro impostazioni teoriche sulle prime sensazioni corporee del bambino.

Come si giunge, a partire da investimenti emotivi elementari su singole parti del corpo, dapprima spezzettate e poi sempre più unite e articolate, alla coscienza del Sé ? Ester Bick (1968) nel suo lavoro “ L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali del bambino ” sostiene che le parti della psiche, nella loro forma più primitiva, non sono differenziabili dalle parti del corpo; anch’esse sono percepite come slegate e sono tenute insieme, in una forma passiva, grazie alla pelle che funziona come limite periferico. Quando il bambino riesce ad individuare la propria pelle indipendente da quella della madre, comincia a poco a poco ad individuare pure un proprio corpo distinto dal materno ed un proprio Sè dentro a una sua “pelle psichica”.

Sono convinto che la cultura occidentale, ma soprattutto il cristianesimo, ha privato il corpo del significato che gli compete.

Le parole di Francesco di Sales, da sole rendono l’idea di ciò che la nostra cultura ha fatto del corpo: “I corpi umani assomigliano a dei cristalli, che non possono essere trasportati insieme, perchè toccandosi l’un con l’altro corrono il rischio di rompersi, e ai frutti che, sebbene intatti e ben preparati, si guastano, se si toccano gli uni con gli altri”.

Inoltre, una sconsiderata medicalizzazione ha fatto coincidere il corpo, nella sua accezione più ampia, con il Korper, quello descritto da Heidegger e Husserl e magistralmente ripreso da Galimberti più recentemente.

In questo processo, il Leib, il corpo vivente, è stato dimenticato. La scissione prodotta tra Korper e Leib( che ricorda la divisione cartesiana tra res cogitans e res extensa) è causa di malessere profondo. IL Korper, il corpo cosiddetto anatomico, quello che il medico vede (purtroppo..) davanti a sé su di un tavolo operatorio è un corpo-oggetto; un corpo che si muove in uno spazio; mentre il Leib, dischiude uno spazio.

Il Korper, si identifica con i confini della pelle, il Leib li oltrepassa.

Se partiamo dal concetto che “Io sono il mio corpo”, appare chiaro come un lavoro a mediazione corporea rappresenta un’efficace strumento terapeutico.

La lingua italiana non prevedendo termini diversi per indicare le due “idee” di corpo come appena descritte (nella lingua tedesca, ad esempio, sono presenti entrambi i termini), la confusione ed il riduttivismo che ne possono derivare sono evidenti.

Il corpo “oggetto”, è di per sé un paradosso; un oggetto è qualcosa che devo poter vedere davanti a me, non posso essere io stesso. Tutto ciò che non è me, è altro da me. Questo concetto mi aiuta a comprendere confini, a ridefinire me e l’altro, a distingure ciò che è me da ciò che non lo è, inclusi i sintomi della malattia.

Che ci si trovi di fronte alla schizofrenia, dove il Leib scade a livello degli oggetti ed i confini si perdono, o di fronte alla depressione dove il corpo può pietrificarsi e ci si può sentir murati vivi in esso, o di fronte all’ipocondria, dove il corpo diviene la sede del sintomo in modo evidente, o ancora di fronte all’anoressia, dove il corpo viene esperito come separato dal sé, il corpo mantenendo la memoria dei nostri vissuti diviene qui la manifestazione sensibile del malessere, che permette al terapeuta che osserva di intuire l’universo che sottostà alla patologia.

In particolare, con riferimento allo psicodramma, valgono le osservazioni di Giulio Gasca: ..”ciò che ha rilievo nello psicodramma non è il fatto che il corpo sia mostrato nelle scene giocate, ma che protagonista, antagonista, spettatori lo vivano con l’autopercezione kinestesica dei propori vissuti, sentimenti e del senso del proprio agire, attraverso la  rappresentazione la rievocazione del movimento intenzionale che là e allora era stato compiuto”..

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