Di Sergio Romano

 

 

L’inizio dell’adattamento della famiglia al bambino coincide con l’inizio di una migliore comprensione di se stessi da parte dei genitori, che in ta modo cominciano a farsi una certa idea della vita psichica degli adulti. Fino ad oggi sembrava accertato che i genitori sapessero per istinto come educare i loro figli, anche se un detto tedesco afferma il contrario: “diventare padre è più facile che esserlo”.

                                                          Sandor ferenczi, 1921

 

Riferimenti storico-teorici

Che il bambino fosse al centro della psicoanalisi, è visibile già dalle prime opere di Freud. Ma si tratta più di un concetto che di un bambino reale. Occorre aspettare i lavori di Anna Freud, poi di Spitz, Kriss e col. e poi di J. Bowlby, per arrivare all’osservazione diretta.

Anna Freud

Sottolineò l’importanza dell’osservazione diretta, che mette chiaramente in evidenza il ruolo dell’ambiente nello sviluppo, cosa che differenzia la psicoanalisi applicata al bambino da quella per l’adulto. Si guarda ora quindi anche a dimensioni nuove, cioè ai conflitti adattivi e quelli reattivi. Introduce il concetto di linee di sviluppo a dimostrazione del fatto che lo sviluppo del bambino non è un processo regolare, ma contiene in sé un potenziale di distorsione. Uno sviluppo armonioso, omogeneo, è più teorico che altro.

Melanie Klein

Evidenziò due punti fondamentali: il dualismo pulsionale, vita/morte, da cui derivano i conflitti interni e la precocità del dualismo pulsionale che esiste  già dalla nascita, prima della vita  e organizza già i primi stadi dello sviluppo. Parla quindi di Io arcaico e super-Io arcaico per spiegare la conflittualità immediata della vita interna del bambino. Operano poi due meccanismi mentali particolari che genereranno l’apparato psichico e gli oggetti. Le prime esperienze istintuali (specie l’alimentazione) servono ad organizzare queste operazioni psichiche, così il bambino introietta affetti legati ad un frammento di oggetto buono, che saranno la base per lo stabilirsi del primo frammentato Io interno del lattante. Le esperienze cattive, legate alla pulsione di morte, saranno proiettate fuori. Attorno a ciò, si organizzeranno l’Io, il non-Io, interno/esterno, frammento di oggetto buono, frammento di oggetto cattivo. Tuttavia la pulsione di morte si presenta continuamente ed obbliga il neonato a proiettare fuori le cattive esperienze ed a introiettare quelle buone, così si costituisce un oggetto cattivo, persecutore esterno da cui proteggersi. E’ la preforma dell’Io arcaico. Perché ciò avvenga, è necessario però che il bambino possa tollerare le frustrazioni che la realtà impone. Le diversità tra un bambino e l’altro per Klein sono ereditarie. Questa fase è quella della posizione schizo-paranoide. Poi avremo l’identificazione proiettiva, il bambino si identifica con frammenti di oggetti proiettati fuori; scissione, idealizzazione e negazione. Alla posizione schizo-paranoide seguirà (tra i 12 e i 18 mesi) la posizione depressiva.

Psicoanalisi genetica

Spitz e Mahler, sono i principali esponenti di questa scuola, che si colloca nel filone della scuola americana di psicoanalisi o scuole della Psicologia dell’Io di Hartman. Questa corrente distingue due tipi di processi: quelli di maturazione, che non dipendono dall’ambiente, appartengono al patrimonio ereditario; quelli di sviluppo, che dipendono dalla evoluzione delle relazioni oggettuali e di conseguenza dal contributo dell’ambiente.

Spitz fu uno dei primi ad utilizzare l’osservazione diretta del bambino per trovare e descrivere le tappe dell’evoluzione psicogenetica del bambino.

 

Margareth Mahler

Studia il bambino nell’interazione con la madre e identifica diverse fasi che portano all’individuazione: fase simbiotica, dove c’è dipendenza assoluta verso la madre, è una fusione  psicosomatica, da illusione al bambino di onnipotenza. Autismo primario fisiologico (narcisismo di Freud), poi un secondo periodo simbiotico (da tre a dieci mesi), durante il quale il bambino comincia a percepire l’origine esterna della fonti di gratificazione.

Processo di separazione–individuazione; inizia tra gli otto e i dieci mesi fino a 2,5/3 anni.
Parte con un parziale spostamento dell’investimento libidico tra i 10 e i 18 mesi, in un momento in cui la motricità del bambino, lo porta fuori dalla sfera simbiotica, c’è una sorta di “schiusa” (Mahler). Poi, poco più avanti, un secondo spostamento più massiccio del sé e delle funzioni dell’Io: motricità, percezione, apprendimento. Fluttuazioni ed incertezze separano ancora l’accesso alla nozione di oggetto permanente, in senso piagetiano (8/10 mesi), dall’accesso alla nozione di permanenza dell’oggetto libidico. Quest’ultima (dopo i 2,5 mesi) indica che l’immagine materna è intrapsichicamente disponibile per il bambino, gli dà sostegno, conforto, stabilità. Mahler  descrive anche l’incostanza nel processo di individuazione con periodi di riavvicinamento, quando al bambino vengono dubbi. Specie se il bambino ha sviluppato ambivalenza nei confronti dell’oggetto libidico. E da qui, Mahler parte per descrivere gli insuccessi dello sviluppo come origine patogenetica delle psicosi. Da un punto di vista metodologico, il suo maggior contributo consiste nell’aver sistematizzato il campo sperimentale dell’osservazione infantile mettendo a punto una situazione ed un metodo standardizzati.

J. Bowlby

Mentre i lavori della Mahler sono centrati sugli effetti della presenza materna, quelli di John  Bowlby, si centrano sulle carenze di cure materne. Nel suo primo libro Cure materne e igiene mentale del fanciullo (1951), egli definisce come essenziale il legame intimo e profondo che il bambino deve istituire con la figura materna. Attraverso tale legame, madre e figlio possono trarre gioia e soddisfazione. Individua un periodo particolarmente critico tra i sei mesi e i tre/quattro anni. In caso di lutto, il bambino reagisce con un comportamento che egli divide in tre fasi: protesta, disperazione, distacco. Qui fu in netto disaccordo con Spitz, il quale non accettava che si equiparasse il lutto adulto con quello infantile. Anche Anna Freud si schierò contro a riguardo, sostenendo che egli non teneva sufficientemente conto del ruolo dell’Io, della sua forza e della sua capacità adattiva.

Bowlby elaborò una sintesi teorica basata sull’attaccamento. Utilizzò dati provenienti dall’etologia, dalla teoria  dei sistemi di controllo, dalle teorie cognitiviste. Qui il termine attaccamento è contrapposto a quello di dipendenza, che per i comportamentismi indicava il legame passivo del bambino con la madre, così come è diverso dal modello  kleniano prevalentemente intrapsichico e predeterminato da fantasie inconsce. Infatti, il modello bowlbyano privilegia le dinamiche interattive, interpsichiche.

Donald Winnicot

Fu poco interessato a definire punti di riferimento cronologici nello sviluppo, per lui all’inizio un neonato non può vivere senza la madre, perché è da essa che dipende. Per lui, la madre è dapprima preda della preoccupazione materna primaria, una sorta di malattia normale che le offre la capacità di impersonarsi nel bambino e rispondere ai suoi bisogni; se non riesce a lasciarsi andare a questa cosa, rischia di diventare una madre-terapeuta che cura anziché lasciare  che il bambino faccia  esperienza. Questa cosa nasce durante la gravidanza e dura alcune settimane dopo per poi spegnersi, quando la madre capisce di non essere totalmente gratificante per il bambino, ma semplicemente una “madre sufficientemente buona”…

Winnicot, distingue tre ruoli della funzione materna: Holding (sostegno, mantenimento), Handling (cura del corpo, pulizia) e Object Presenting, cioè la capacità di mettere a disposizione del bambino l’oggetto esattamente quando serve, né prima né dopo, cosa che dà al bambino l’illusione onnipotente di avere creato lui il mondo attorno, trasformando l’ambiente interno da sufficientemente buono a perfetto. Il bambino reagisce così alle piccole carenze della madre, con moderata disillusione, che è necessaria, affinchè il bambino si adatti rimpiazzando l’illusione primitiva con un’area intermedia, area della creatività primaria, che Winnicot chiamerà “area transizionale”, il cui rappresentante più caratteristico è l’”oggetto transizionale”. Esso non è né dentro né fuori; è reale, è precedente allo stabilirsi della prova di realtà e rappresenta il seno o l’oggetto della relazione primaria. Winnicot delinea anche la nozione di “falso sé”, una sorta di barriera tra il vero sé, nascosto, protetto, e l’ambiente, qualora quest’ultimo sia ostile, intrusivo. Esso non è creativo, non produce sentimenti di realtà, segna il confine tra sviluppo normale e patologico.

Joffe, Sandler e Bollard, più recentemente, continuarono i lavori di Anna Freud,                       cercando fra l’altro, di stabilire un indice analitico per indagare meglio la psiche di un bambino (Bollard e Sandler).

Joffe e Sandler, cercarono di trovare nello sviluppo precoce del bambino, i complessi psicopatologici strutturanti  le prime esperienze affettive di base tenendo conto dell’ambiente. Per i Sandler, lo stabilirsi delle relazioni rappresenta una ricerca della relazione primaria con un oggetto buono, cioè il bambino tenta di “mantenere  relazioni strette, gioiose e felici con il suo buono stato affettivo di base, con una costellazione di piacere, benessere e sentimenti di sicurezza”. Contemporaneamente egli cerca di far sparire l’altro oggetto affettivo primario, quello al quale sono legati dispiacere e dolore. Per loro sono questi due stati affettivi di base ad organizzare e dirigere lo stabilirsi delle razioni oggettuali.

 

Wilfred Bion

Sviluppò le teorie Kleniane, ma le sue ipotesi vengono dal suo lavoro analitico con pazienti adulti regrediti, e non da osservazioni sui bambini. Per lui i pensieri primitivi si basano su impressioni sensoriali o su vissuti emozionali primitivi e di cattiva qualità, cattivi oggetti di cui il bambino si deve liberare. Il pensiero origina per lui, dal crearsi di una corrispondenza tra un concetto primitivo e una frustrazione. Quando la tolleranza alla frustrazione è sufficiente, il bambino usa meccanismi che modificano l’esperienza e sfociano in elementi alfa; senza tolleranza il bambino può solo sottrarsi all’esperienza, tramite l’espulsione di elementi beta.

Alfa, sono le impressioni sensoriali ed i vissuti emozionali primitivi, (quelli che Joffe e Sandler chiamavano affetti di base) e formano i sogni, i pensieri inconsci, i ricordi. Beta, non servono a pensare, sono le cose in sé, vanno espulsi mediante l’identificazione proiettiva. La madre funziona come un contenitore delle sensazioni del neonato e la sua capacità di Reverie le consente di accogliere le proiezioni-bisogni del neonato dando loro un significato. La posizione depressiva, consente poi di reintegrare nello psichismo del bambino gli elementi dissociati tramite la fase precedente. L’evoluzione di questi pensieri sfocia in studi più recenti nei quali l’interazione tra i partners è valutata nell’osservazione. Viene cioè analizzato il rapporto che unisce i due partners. I primi studi vengono da due diversi ambienti: l’approccio sistemico, e gli studi sulle relazioni tra madre e bambino.

Il primo sostiene che il bambino non è passivo, in balia delle cure della madre, ma è un partner nella relazione, in grado di orientarla. Il bambino è si vulnerabile, ma ha anche competenza; ciò designa la sua capacità di usare le sue attitudini sensoriali e motorie per agire o tentare di agire sull’ambiente.

Infine, Le teorie di Bion sugli assunti di base saranno di grande aiuto nella lettura degli     atteggiamenti che il gruppo in certi momenti assume.

Brazelton (1960), sosteneva che il bambino nasce con eccellenti strumenti per segnalare i suoi bisogni o la sua gratitudine; invece di percepirlo come argilla duttile, lo reputa “un essere di notevole forza”. Altre forme di competenza di cui è dotato sono: la vista, l’udito…la motricità (imitazione, tendere le mani…). E’ doveroso ricordare che Thomas Berry Brazelton, pediatra statunitense nato nel 1918, è l’inventore della nota NBAS, una scala di valutazione del comportamento del neonato, concepita a metà degli anni ‘50. Ancora in quegli anni, considerare il neonato come un essere sociale predisposto ad interagire con la persona che si prende cura di lui ad evocarne il tipo di accudimento necessario alla propria sopravvivenza, era certamente rivoluzionario e contribuì a ridare dignità al neonato, che veniva studiato paragonandolo ad un  animale decerebrato, quasi fosse solo dotato di risposte riflesse a stimoli esterni. In fondo Brazelton ha semplicemente dato dignità scientifica a ciò che le madri già sapevano: che un neonato fin dai primi momenti è diverso dagli altri, ha una sua personalità e può toccare, annusare, ascoltare, e guardare, può essere consolato tenendolo in braccio, tenendolo tra le braccia e cullandolo, parlandogli e cantandogli; che i suoi pianti possono avere una diversa causa e diversi effetti e che il suo adattamento al nuovo mondo dipende anche dal modo in cui è accudito.

 

Interazione osservata

Dobbiamo ricordare che la maggior parte delle teorie sullo sviluppo psicologico, consideravano gli individui separati dall’ambiente sociale e fisico in generale. Basti sottolineare come per Piaget, lo sviluppo fosse essenzialmente un fatto individuale. Questo modo di intendere era in linea con un pensiero diffuso, negli Stati Uniti in particolare, che vedeva l’individuo come una sorta di esploratore solitario; anche gli psicologi seguirono tale tendenza, tutti trascinati da una visione romanica dell’individuo, dove l’ambiente al massimo può favorire o limitare lo sviluppo. Questa visione non era condivisa in altri contesti sociali, in particolare all’est, dove invece molti studiosi contestualisti, primo fra tutti Vigotskij, avevano una visione diametralmente opposta.

Lev Semyonovich Vigotskij (1896-1933), cominciò il suo lavoro in modo sistematico nel 1924, quando Alexander Luria, lo fece entrare all’Istituto di Psicologia di Mosca.

Egli fece sue ed estese alla psicologia le teorie di Marx e di Engels sull’economia e la politica.

Ciò che qui però ci importa maggiormente, è sottolineare alcuni principi.

Invece di concentarsi sul bambino, i contestualisti consideravano  il bambino in un contesto: qui, il bambino, l’oggetto ed il contesto si fondono nell’attività. Il contesto plasma, influisce sul bambino ed il bambino, cosa molto importante, influisce sul contesto. Oggi, tutti quelli che hanno un approccio di tipo contestualista, al di là delle differenze e delle nuove teorie, condividono la convinzione che la psicologia evolutiva ha trascurato i contesti sociali in cui avviene lo sviluppo.

Un esempio significativo è la nota Strange-Situation, collocabile nella prospettiva Bowlbiana, che consiste nella osservazione delle reazioni del bambino nel momento della separazione dalla figura di attaccamento; il tutto realizzato però in un ambiente controllato, protetto, che consentì di descrivere quattro modelli di attaccamento: resistente, sicuro, ambivalente, insicuro-disorganizzato. Un altro esempio significativo è il viso impassibile e l’interazione differita. Tracnic e colleghi (1978), descrivono la relazione di un neonato (da uno a quattro mesi) posto di fronte alla madre che mantiene un viso impassibile e non interagisce: dopo 20 secondi di solleciti da parte del bambino, egli diviene serio, si agita, toglie lo sguardo. L’aspetto del viso diviene serioso, succhia le dita, oscilla il capo, si ritira. Così, come già a pochi mesi la configurazione occhi-bocca-movimento rappresenta per il neonato una Gestalt in grado di essere percepita ed esperita come qualcosa di buono”, si capisce come il volto della madre è per il bambino un indispensabile sostegno affettivo.

Nel 1985 L. Murray e C. Trevarthen, hanno studiato gli effetti della mancata sincronizzazione delle interazioni tra madre e bambino a due mesi utilizzando un video; all’inizio madre e bambino vengono osservati nella loro interazione sotto forma di mimica, sguardo, prosodia, (sintonizzazione degli affetti, Stern). Poi, il neonato riceve sullo schermo non più l’immagine della madre che interagisce con lui in tempo reale, ma una sequenza pre-registrata che trasforma la madre in una sorta di madre automatica anche se sorridente. I bambino si “ritira”, si agita. Ciò indica che il bambino non è solo sensibile alla forma del viso materno, alla forma del suo movimento, ma anche alla sintonizzazione, alla sua capacità di interagire al momento dello scambio. Gli esperimenti di Murray e Trevarthen, dimostrano che è il sottile gioco relazionale di messaggi scambiati nel tempo che mantiene una relazione affettiva gioiosa: la mamma e il bambino hanno la necessità di percepirsi l’un l’altro in condizioni di contatto emozionale e di reciprocità, per sentirsi a loro agio e comunicativi.

Occorre che un  dialogo si instauri tra lui e la madre.

E’ essenzialmente su queste teorie che si fonda la mia visione del bambino. Un bambino in un contesto che viene da questo plasmato, che necessita di una relazione affettiva caratterizzata da reciprocità e consapevolezza da parte dei caregivers perché il suo sviluppo proceda fluidamente.

Ancora oggi tendiamo ad avvicinare il bambino mediante griglie interpretative che in realtà non ci aiutano a comprenderlo, a vederlo per quello che è nel qui ed ora.

Teorie, modelli, pensieri pre-costituiti rappresentano gli occhiali con i quali avviciniamo il mondo dei bambini, che ci affascina e ci spaventa. E così nasce il paradosso di una società che si spende per i bambini, che cerca di proteggerli costituendo associazioni in sua difesa, ma che forse ancora troppo spesso si occupa del bambino teorico e non di quello reale.

Spieghiamo, interpretiamo e con ciò ci allontaniamo da quella dimensione in cui egli vive e che poi da adulti faticosamente cerchiamo di riavvicinare, magari seguendo i dettami di un’imperversante quanto improbabile cultura new age.

Il bambino reale, si muove per polarità ed eccessi e ci fa invidia e ci pone inquietanti quesiti sulla nostra capacità di coniugare gli opposti; noi adulti alla ricerca della nostra individuazione, abbiamo difficoltà ad avvicinare il bambino reale e le sue contraddizioni; cerchiamo di fare una sintesi dove una conjuntio sarebbe necessaria.