Di Sergio Romano 

Clicca per vedere il Video: Overt primary Rejection in Infancy (Hospitalism) :: Study by Rene A. Spitz 1952

 

Con il termine Ospedalismo, è designata una condizione corporea viziata dovuta ad un prolungato soggiorno in ospedale, o la condizione morbosa dell’atmosfera che caratterizza l’ospedale e più in generale indica gli effetti nocivi della vita in istituti, sui bambini più piccoli.

Alcuni dati: in Germania ad inizio ‘900, uno dei maggiori brefotrofi  presentava un tasso di mortalità del 71,5% (entro il primo anno di vita, Schlossman, 1920); negli stati Uniti, nello stesso periodo le percentuali andavano dal 31,7% al 75%. In particolare a Baltimora, il 90% di questi bambini, moriva entro l’anno (Chaplin, 1915) e ad  Albany, al Randalls Island Hospital, era del 100%. Negli anni ‘40 al Bellevue Hospital di New York, il tasso era inferiore al 10% (Bakwin, 1942). Se dunque erano migliorate le condizioni di vita dentro l’istituzione, perché continuavano a morire tanti bambini?

In quegli anni studiosi come Durfee, Worf, Bender, Goldfarb, Lowrey, scoprirono che al di sotto dei tre mesi i bambini  non mostravano segni d’istituzionalizzazione, ma che dopo otto mesi di soggiorno, mostravano i segni di gravi disturbi psichiatrici. Dopo tre anni i danni erano irreversibili. Isolarono i fattori responsabili del danno: la mancanza di stimolazioni (ambiente sterile, asettico), la presenza/assenza della madre.

Spitz, conosceva bene queste situazioni e a dispetto di chi lo vorrebbe poco obiettivo, reputò i dati insufficienti per via del campione poco rappresentativo, vista la dimensione ridotta e perché erano somministrati test per il Q.I., (inapplicabili al primo anno di vita). Egli decise di utilizzare i test di Hetzer e Wolf (1928) che fornivano informazioni non solo sul Q.I., ma sullo sviluppo globalmente inteso (percezione, controllo corporeo, memoria, intelligenza..). Con questi dati creava una curva della personalità per fare confronti intra-individuali e inter-individuali.

Decise quindi di intraprendere uno studio per trovare quali fattori potessero influire in modo più o meno rilevante, sullo sviluppo del bambino. Individuò due istituzioni, in due diversi paesi occidentali, per un totale di 130 bambini entro l’anno d’età, poi 34 soggetti allevati in casa come campione di confronto. Quindi quattro ambienti. Procedette poi come segue:

 

– Anamnesi d’ogni bambino.

– Analisi dati relativi alla madre, ove possibile.

– Test di Hetzer-Wolf o altri test creati appositamente, somministrati a tutti i bambini.

– Realizzazione di filmati (960.000 cm di pellicola girati!).

 

Una delle due istituzioni era una nursery, l’altra un brefotrofio. I test di sviluppo evidenziarono un dato importante: i bambini allevati nella nursery e in casa, mostravano uno sviluppo buono, più o meno omogeneo, quelli nel brefotrofio, invece no (una media di 105 contro 72!).

Vide inoltre che i bambini del brefotrofio, erano partiti da un valore pressoché normale, per poi diminuire progressivamente. Dal terzo mese in avanti, mostravano i segni fisici/psichici dell’ospedalismo.

Su 88 ne morirono 23, per un’epidemia di morbillo. In pratica, la resistenza alle malattie era calata fortemente. I sopravvissuti risultavano comunque “danneggiati”, sotto molti punti di vista.

In contrasto con questi dati, nella Nursery, quelli un po’ più grandicelli (8-12 mesi), erano intraprendenti, attivi, si arrampicavano, camminavano..

Quali erano le diversità e le analogie tra le due istituzioni? I bambini della nursery erano figli di madri delinquenti, rinchiuse nel carcere del quale la nursery era parte. I bambini del brefotrofio, avevano in parte un simile background dei bambini precedenti, ma in parte migliore; erano figli di madri che non c’è la facevano a mantenerli. Infatti, il quoziente evolutivo di questi ultimi bambini, inizialmente era migliore, proprio per via del background più favorevole.

 

Ambiente

 

Entrambe le istituzioni erano situate fuori città, in grandi giardini, e presentavano condizioni igienico-sanitarie buone; i bambini fino a sei settimane alloggiavano in ambienti diversi, più sterili. In entrambe i bambini erano trasferiti dopo due/tre mesi, nei reparti con i più grandi, in scompartimenti singoli recintati da vetri, su quattro lati per quanto riguarda la nursery, da tre lati nel brefotrofio. Nel brefotrofio stavano lì fino a 15/18 mesi, nella nursery dopo i sei mesi andavano in stanze a 4/5 letti; nel brefotrofio i bambini stavano metà in zone poco illuminate e metà vicino alle finestre.

Nella nursery le celle erano colorate, in entrambe le pareti erano chiare; lettini bianchi in entrambe; la nursery disponeva di maggiori risorse finanziarie, infatti, erano presenti un tavolino ed una sedia vicino ai lettini. Nel brefotrofio, trovare uno sgabello era già molto.

Il cibo era buono ed in quantità sufficiente in entrambe, i biberon sterilizzati, la maggior parte dei bimbi più piccoli era allattata al seno fino a tre mesi, maggiormente nel brefotrofio.

L’abbigliamento, le coperte, la temperatura, erano buoni in entrambe.

Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, nella nursery i bambini erano visitati a richiesta, mentre nel brefotrofio quotidianamente.

 Fin qui, poche diversità, o se vogliamo una condizione un po’ migliore nel brefotrofio. Quindi?

Nella nursery c’erano giocattoli, nel brefotrofio no, almeno inizialmente; dopo, per via della ricerca, cominciarono ad apparire dei giocattoli anche lì, portati dagli osservatori.

Nella nursery si riceveva un’impressione di calore, c’erano madri affaccendate, i bimbi potevano vedere fuori delle finestre situate su entrambi i lati, vedere gli altri bambini.

Nel brefotrofio, i corridoi erano deserti, le infermiere erano presenti solo per i pasti. Vi era inoltre un’abitudine che la dice lunga su quanto poco si sapesse sulle reali esigenze del bambino: le lenzuola erano appese ai lati dei lettini. In questo modo i bambini non vedevano niente, erano completamente isolati! Nella nursery, i bimbi si muovevano nei lettini, in uno spazio che fino a circa 10 mesi era sufficiente. Nel brefotrofio, stavano fermi per mesi, al punto che si creavano degli affossamenti nei piccoli materassi sui quali quelle piccole e sfortunate creature giacevano. A 10/12 mesi, gli unici giochi erano i loro piedini, le loro mani. Nel brefotrofio vi era una caposala e 5 infermiere per 45 bambini, nella nursery una caposala più tre assistenti che insegnavano alle madri come accudire ai bambini. Quindi c’era sempre una madre per un bambino, la sua o quella di un altro. Pur essendo queste madri un pò stravaganti, ovvero non troppo “regolari”, erano in ogni modo presenti.

Nel brefotrofio lo svezzamento, con la conseguente interruzione del contatto umano, avveniva verso i quattro mesi, lo sviluppo iniziava così a rallentare.

Le critiche qui fanno riferimento alla possibilità che tale rallentamento fosse imputabile in generale alla deprivazione percettiva e non in particolare all’assenza della madre. Spitz, rispose affermando che la relazione con gli oggetti inanimati per un bambino al di sotto di un anno d’età, non è così importante. Per lui la percezione è il risultato dell’intervento di un’emozione (funzione della catessi libidica). Le emozioni arrivano al bambino attraverso il partner umano.

Il bambino conosce l’ambiente attraverso la mamma. Ella lo introduce all’apprendimento e poi all’imitazione. La presenza della madre, può compensare le altre deprivazioni, ma non viceversa. Vero che nel brefotrofio il bambino è isolato, ma per Spitz, non è quello il problema, ma è l’assenza del partner umano, quindi l’importanza del rapporto madre/bambino per i bambini sotto l’anno d’età.

Nel brefotrofio sorprende, oltre che la riduzione del quoziente evolutivo, la diversità di modello reattivo agli estranei da otto a dodici mesi; da grande amichevolezza ad esitamento ansioso verso gli oggetti inanimati.

Spitz decise, visti i dati rilevati, di effettuare un follow-up, che consistette nell’incaricare un ricercatore di visitare ogni 4 mesi il brefotrofio, nei due anni successivi la ricerca. Furono rilevati dati corporei dei bimbi, scattate fotografie, fatte domande al personale, realizzati dei filmati.

Però dei 91 bambini iniziali, nel primo anno ne morirono 27, per diverse malattie, entro il secondo altri 7 (37% di mortalità); 23 erano usciti, 7 adottati, 2 trasferiti, di quattro non si seppe più nulla.

21 dei coinvolti nella prima ricerca, erano ancora al loro posto. Il più piccolo aveva 2 anni, il più grande 4. Tutti risultavano fortemente ritardati sotto più aspetti. Anche fisicamente il ritardo era impressionante; un bambino di due anni mediamente è alto 85 cm e pesa 12 Kg. Solo tre rientravano in questi parametri, gli altri erano sottosviluppati, fino ad un limite del 45% sotto la media per il peso, e il 15 % per l’altezza. Presentavano dati classici di bambini della metà degli anni.

Questo follow-up, confermava l’irreversibilità del processo. Notare che a 15 mesi, i bambini erano trasferiti in reparti con altri bambini, con più infermiere, in un ambiente più luminoso e assolato, con buone stimolazioni, ciò nonostante, il deterioramento continuava ad aumentare. Cambiare le condizioni ambientali troppo tardi, non serviva. Uno studio analogo fu fatto nelle nursery, l’altro istituto dove si svolse la ricerca iniziale: qui era tutto diverso. I bambini giocavano, parlottavano… Su 122 bambini osservati per un anno e mezzo, nessuno morì, dato inusuale nella nursery, come emerse dall’esame egli archivi.

 Depressione anaclitica

 

Osservando 123 bambini (d’età compresa tra i 12 e i 18 mesi) in una nursery, scoprirono che dopo i sei mesi, alcuni bambini mostravano comportamento con pianto, tristezza e poi una chiusura in loro stessi. Stavano fermi nel lettino, assenti, se fissati piangevano. Questo comportamento durava due/tre mesi. Poi insonnia, perdita di peso, aumento delle malattie, diminuzione del Q.I..

Dopo tre mesi il pianto diminuiva, subentrava rigidità, immobilità. Stavano fissi. A volte erano presenti attività autoerotiche. Il contatto non era più possibile. Su 123, 19 mostravano questi sintomi. Per tutti e 19 molto simili; era una sindrome.

Questi bambini furono osservati per 400 ore complessive, per ognuno, durante un anno, con frequenza settimanale.

Per altri 26, una sindrome simile ma più lieve. La ricerca mostrò che alcuni fattori non erano rilevanti, quali sesso, razza, età (entro un certo limite, compreso tra i 6 e gli 11 mesi), livello evolutivo ed intellettivo.

Mentre uno sembrava essere significativo: tutti loro erano stati allontanati dalla madre. Altri bambini non mostravano questa sindrome; videro che la condizione necessaria, per lo sviluppo di tale sindrome, era che la separazione fosse avvenuta nel corso del primo anno di vita e che fosse durata sufficientemente a lungo. Quindi: deprivazione come condizione necessaria ma non sufficiente.

Se analizziamo questi sintomi, possiamo vedere come siano simili a quelli caratteristici del lutto, già descritti da Abraham nel 1912 e da Freud nel 1917.

 Qui, il fatto scatenante è la perdita dell’oggetto d’amore; per Spitz, un bambino che manifesta quella sindrome, è paragonabile ad un adulto che soffre di melanconia, il quale però può esprimersi verbalmente. Le differenze sono giustificate dalla diversità delle due strutture psichiche dell’adulto e del bambino: mentre nell’adulto sono sviluppate istanze psichiche definite, nel bambino possono essere visibili, solo un Io ed un Es deboli, che lo rendono quindi vulnerabile.

Di contro, il fatto che l’Io sia agli albori della sua esistenza, offre il vantaggio di rendere possibile, in modo relativamente più semplice, la sostituzione dell’oggetto d’amore a seguito di perdita.

In pratica quella che Spitz chiamò depressione anaclitica, si avvicina a quella che Freud chiamava depressione semplice, e Abraham (1912) definiva Paratimia primaria.

Per la Klein invece, com’è noto, la depressione è Fons et Origo dello sviluppo; per lei la depressione arriva quando il bambino tra i tre e i cinque mesi, percepisce la madre come una cosa intera. La considera uno stadio dello sviluppo.

Spitz pensa che la Klein abbia fatto ciò che fecero, secondo lui, Jung, Rank, Reich, Adler, i quali per togliere di mezzo la sessualità dalla teoria psicoanalitica… modificarono la teoria.

La depressione, nell’ottica spitziana, non è un elemento integrante lo sviluppo: è una malattia.

Riunendo i bambini deprivati alla loro mamma, il cambiamento era sorprendente, sia per rapidità sia per ampiezza: in alcuni casi fu visibile nell’arco di 12 ore!

Purtroppo, il gruppo di ricerca di Spitz, fu in grado di seguire i bambini solo per 18 mesi, quindi non è possibile sapere se gli effetti della deprivazione, il trauma subito, lasciò delle tracce oppure no. Nella depressione anaclitica, così come nel lutto, assistiamo a tentativi di recupero dell’oggetto, attivati come tentativi di sostituzione, di recupero dell’oggetto perduto o del mondo perduto. Nella melanconia abbiamo un super-io che schiaccia l’io, provocando la vana reazione dell’Es, poiché producendo ansia, il super-Io usa parte delle energie dell’Es per le sue esigenze distruttive, de-sessualizzando tali energie.

Se ciò ha esito positivo (fase depressiva), l’impulso aggressivo dell’Es  non viene del tutto de-sessualizzato e resta come risorsa dell’io, usata per la creazione di un sistema compulsivo, che soddisfa almeno temporaneamente il super-io, interrompendo il progredire della melanconia. Se invece gli impulsi sessuali e aggressivi dell’Es, non finiscono al servizio del super-Io, essi vanno a rinforzare l’io, il quale ha la meglio sul super-Io, arrivando ad incorporarlo. Ciò esita in un abolimento dei limiti tra i sistemi e si ha la fase maniacale.

Tutto ciò vale per l’adulto. Nel bambino piccolo non siamo in presenza di super-Io; qui la  perdita dell’oggetto d’amore equivale ad una deprivazione ostile ed egli reagisce con il suo io debole, inadeguato. A quest’età parliamo di un  io sopratutto corporeo. La locomozione tenderà quindi alla gratificazione  del bisogno di rapporti sociali anaclitici; nel primo semestre in modo passivo, visto che non cammina ancora, nel secondo semestre in modo attivo. Quindi la locomozione diviene un requisito indispensabile. Essendo questa molto limitata nelle istituzioni, va da sé che risulta limitata anche la possibilità di stabilire  relazioni oggettuali anaclitiche, tramite il contatto sociale. Inibendo il movimento, lo sfogo degli impulsi aggressivi può solamente essere diretto verso di sé; differisce dalla melanconia dove era il super-io a schiacciare l’io. Qui non serve.

Spitz, osservando attentamente, vide che non tutti i bambini erano ugualmente danneggiati dall’inibizione della locomozione: da cosa dipendeva?

Dalla possibilità dell’istituzione di offrire un oggetto d’amore alternativo. Emerse inoltre un altro dato fondamentale dalle ricerche effettuate: la depressione anaclitica era molto più grave nei casi in cui il rapporto tra madre e bambino era migliore prima della separazione.

Deprivazione, quindi, come causa primaria di una serie di conseguenze drammatiche.