Giulio Gasca

LO PSICODRAMMA COME ANALISI ATTRAVERSO IL GRUPPO

in: Psicodramma Analitico, n. 0, dicembre 1992, Torino.

“Ciò che contrasta concorre e da elementi
che discordano si ha la più bella armonia”

(Eraclito)

Il tratto specifico che caratterizza lo psicodramma analitico rispetto ad altre tecniche di gruppo è lo svilupparsi del discorso del gruppo stesso attraverso la costante dialettica tra due piani: quello dell’espressione verbale e quello della presentificazione drammatica. Il parlare di un membro del gruppo o del gruppo nel suo insieme attorno ad un evento, questione, conflitto o sintomo viene constantemente riportato alla rappresentazione, col metodo drammatico, di una scena concreta, riferibile ad un tempo e ad uno spazio determinato della storia di uno dei presenti (tempo e spazio che possono essere situati nel mondo diurno della veglia, in quello del sogno o anche in quelli del delirio o delle fantasie del protagonista purchè tali fatti siano accaduti in un altrove e allora ben distinto dal qui ed ora del gruppo).

Tale drammatizzazione a sua volta, evoca sentimenti, ricordi, considerazioni, associazioni negli altri presenti, da cui scaturiranno le scene successive. Ciascuna scena drammatizzata costituisce, per così dire, un punto focale per mezzo del quale vengono evidenziati sempre nuovi aspetti della rete di significati, rapporti, possibilità che continuamente si intesse tra i partecipanti, dentro di essi ed attraverso di essi.

Ma, a differenza dell’interpretazione verbale che spesso, inevitabilmente, tende a rimandare ad un codice, ad una teoria predefinita di riferimento (tale atto non è altro che …) la scena psicodrammatica come interpretazione rimanda ad una molteplicità di codici, possibili, ponendoli talvolta in collegamento, talaltra a confronto, o in antitesi, spingendo ad elaborarli ed integrarli.

L’unità strutturale e dinamica evidenziata dal gioco drammatico, in cui confluiscono, come tanti elementi parziali, codici verbali, concettuali e ancora codici espressi da sequenze di immagini o di azioni, è chiamata in gergo psicodrammatico il ruolo: vogliamo ricordare come tale termine assuma qui un senso assai diverso e più complesso di quello che gli viene usualmente attribuito in psicologia sociale. Ruolo, infatti, nei nostri termini significa: funzione che integra, coordina ed articola l’insieme di modalità attraverso cui un individuo si rapporta ad una data classe di situazioni e di contesti. Rispetto al mondo esterno i ruoli strutturano il modo in cui ciascuno interpreta ciò che percepisce e come interagisce con esso.

Rispetto al mondo interno i ruoli sviluppati da ciascuno nel corso di precedenti interazioni con altre persone e in lui stesso presenti come modelli comprensibili dell’agire proprio e altrui organizzato, dando loro un senso, impulsi, tracce minestiche, immagini, rappresentazioni, cosicchè esse possano interagire tra loro e presentarsi alla coscienza, come ad esempio avviene nei sogni, attraverso un vero e proprio teatro interiore. Il sogno, nell’ottica junghiana, viene infatti considerato come un “teatro in cui chi sogna è scena, attore, suggeritore, regista, autore, pubblico e critico insieme” nel quale le “figure del sogno sono tratti personificati della personalità di chi sogna” (Jung 1916-1948).

Muovendo da tale ottica, ripresa poi da Hillman (1983), nella concezione junghiana non solo il sogno, ma anche le fantasie interiori, di tutto ciò che si muove nell’inconscio possono essere compresi dal di dentro attraverso una logica teatrale “se lo spettatore capisce che è il suo stesso dramma che si sta rappresentando sul palcoscenico interiore non può restare indifferente alla trama o al suo scioglimento, si accorgerà via via che gli attori si succedono, e che l’intreccio si complica che …è l’inconscio che si rivolge a lui e fa sì che queste immagini di fantasia gli appaiono davanti. Si sente perciò costretto, o è incoraggiato dal suo analista, a prendere parte alla recita”.

I ruoli costituiscono cioè dei veri e propri mediatori sia tra il mondo interiore e quello esterno sia tra i molteplici aspetti e livelli di struttura ed integrazione presenti in ciascuno dei due mondi.

Il livello più superficiale di analisi ha origine dal confronto diretto attraverso la molteplicità di codici attivati tanto verbali quanto impressi nei modelli percettivo-motori di ciascuno dei membri del gruppo. I modi attraverso cui il protagonista, coloro che egli chiama ad impersonare le altre parti e gli spettatori, agiscono e percepiscono la situazione, nelle diverse versioni della stessa scena, dovute al cambio dei ruoli degli attori, introducono una pluralità di punti di vista aleternativi. Questi permettono di esaminare l’evento in relazione ai suoi differenti significati possibili, agli affetti da esso evocati nelle diverse parti in causa e rispetto all’adeguatezza del ruolo al contesto, alla sua complessità, differenziazione e integrazione nella personalità globale del protagonista.

Ma, contemporaneamente, lo psicodramma incide ad un livello più profondo: un esame accurato di quanto emerge in ciascun gruppo per un certo tratto di tempo evidenzia infatti una triplice corrispondenza:

1) Nel gruppo ciascuno dei presenti assume e/o attribuisce agli altri dei ruoli attuali, sia nel modo di porsi ed interagire, sia attraverso le immagini che, col raccontare o drammatizzare certe parti di sé, induce nel gruppo.

2) La rete di ruoli attuali rispecchia e viene rispecchiata (dal)la rete di ruoli propri e altrui che ha costituito le relazioni della storia personale di ciascuno.

3) La prima e la seconda rete di ruoli interpersonali inoltre si riflettono e corrispondono alla rete di ruoli intrapersonali di ciascun partecipante. Questi possono essere intesi sia come parti di sé, non assunte nel rapportarsi al mondo esterno, e talora attribuite ad altri, ma non riconosciute come proprie, o ancora come complessi autonomi o come funzioni o istanze strutturanti la psiche, quali sono nell’ottica junghiana l’ombra e l’aninus.

La scena giocata costituisce per così dire ciò che mette a fuoco le relazioni tra tali tre polarità: il qui ed ora dello strutturarsi del gruppo, emerso attraverso le scelte effettuate da ciascuno, di certi attori per la propria scena, evidenziano attraverso il come questi impersonano le proprie parti, precisato e modulato attraverso i vissuti successivamente espressi, interpreta (e viene interpretato attraverso) l’altrove e allora delle scene giocate. Il formarsi degli attuali modi di essere (interpersonali o intrapersonali) può, attraverso il succedersi dei giochi evocati, venire ricostruito storicamente dal precipitare, combinarsi e cristallizzarsi di ruoli propri o altrui presentatisi nel corso dell’esistenza passata e, al tempo stesso, tale storia passata, ricollocata dal gioco nell’orizzonte del presente, viene per così dire illuminata da una nuova luce (o meglio da tante nuove luci quante sono le parti dei partecipanti) e vista attraverso di esse. I ruoli interni o intrapersonali poi si evidenziano attraverso le scene proposte, principalmente quelle riguardanti i sogni, ma anche scene della realtà diurna in quanto i ruoli intrapersonali determinano il modo in cui ognuno vede, capisce, interpreta le altre persone per lui significative.

I ruoli intrapersonali sono così attribuiti ad altri fuori di sé: personaggi della storia passata evocati e membri del gruppo chiamati a rappresentarli.

Nella serie di giochi psicodrammatici il protagonista se ne riappropria, riconoscendoli come parti proprie, attraverso il cambio dei ruoli o immedesimandosi nelle parti che, a loro volta, altri membri del gruppo gli attribuiscono. In ciascuna seduta il gioco drammatico riesce a rivelare solo alcuni dei molteplici fili della trama che continuamente si tesse, si intrica, si modifica, si scioglie, si ritesse tra le parti inter ed intrapersonali dei presenti. Abbiamo perciò scelto di esemplificare seguendo fili tratti da alcune sessioni di un gruppo caratterizzate da ruoli netti con pochi riferimenti simbolici, in quanto ciò renderà possibile isolare, senza alterarne troppo il significato, dalla trama sottostante infinitamente più complessa.

Fillide, che è appena stata introdotta nel gruppo, ignora visibilmente il discorso di questo, per porsi al centro dell’attenzione chiedendo aiuto per i suoi sintomi o per problemi concreti quali il suo sentirsi rifiutata da tutti. Tale ruolo, nel gruppo, viene poi tradotto in una serie di scene nelle quali si evidenzia come il suo solo e costante modo di rapportarsi ad altri (terapeuti, paenti, amici) sia nella parte di malata bisognosa.

Segue a ciò una scena su un evento ricorrente dell’infanzia: la madre nn le presta attenzione perché riserva ogni sua cura alle due sorelle maggiori, entrambe malate, sofferenti per lussazione congenita dell’anca. Fillide sceglie ripetutamente per la parte di madre Flora che, come lei, all’inizio si era rapportata al gruppo attraverso il sintomo ed esprimeva problemi di rifiuto da parte della madre. Ma Flora al presente assume in gruppo ruoli di volta in volta diversi: di malata bisognosa, di veterano del gruppo protettiva e materna verso i nuovi arrivati o di donna energica e aggressiva o ancora di persona ricca di interessi. Le scene giocate in precedenza avevano evidenziato come il suo ruolo di malata bisognosa fosse identico a quello da lei visto spesso giocare dalla madre verso il padre.

Emergerà da giochi successivi come la madre, affetta da una grave menomazione di natura estetica temesse l’abbandono e pensasse di non poter tenere legati altri con le sue qualità positive: si servirà della sua bisognosità per accusare gli altri di trascurarle ingiustamente.

Ma il ruolo malata bisognosa di Flora si rivela anche complementare ad un ruolo assunto verso di lei dalla madre quando criticava e svalutava ogni capacità di agire autonomo della figlia. Esso, attraverso i cambi di ruolo con la madre, si rivela essere una funzione maschile razionale assertiva che questa, in alternativa a quella di malata bisognosa, aveva potenziato all’eccesso per potersi sentire (come di fatto avvenne) autosufficiente in caso di abbandono. Lo stesso ruolo, dapprima presente in Flora solo come atteggiamento ipercritico e distruttivo, venne a poco a poco da lei assunto nei suoi aspetti costruttivi prima in gruppo poi nella vita. Esso si differenziava per altro da un altro ruolo, in questo caso con caratteri non razionali e maschili, ma piuttosto affettivi e materni, che Flora, insegnante elementare, sa esprimere con i bambini.

Quest’ultimo ruolo non sembra aver precedenti nella storia familiare di Flora, ma si rivela come ruolo alternativo a quelli giocati dai genitori e da lei osservato (o immaginato e idealizzato) nei genitori di una sua compagna di scuola. Nel gioco, a impersonare tale ruolo costruttivo viene chiamato uno dei conduttori. Ad esso è complementare nella scena e in gruppo il ruolo della bambina (paziente), collaborativa. Iris, che viene scelta da Flora a volte per le parti di madre assertiva, a volte per le parti di padre accusato di troppi interessi extrafamiliari, a volte ancora per parti di allieva diligente, ci presenta nei propri giochi una madre conformista, ma rassicurante e un padre donnaiolo, seduttivo, ma poco affidabile: tali modelli, ci mostrano i giochi, sono ripetuti da Iris nel presente. Separata dal marito gioca col figlio diciottenne la parte di madre conformista da cui questi (impersonato da Marzio) cerca di rendersi autonomo.

In parallelo cerca un compagno ideale e attraverso l’approfondimento delle motivazioni di tale ricerca coglie ed apprezza il senso di modi di vedere del padre, fino ad allora rifiutati. Essa è incerta tra due compagni: uno fortemente dipendente da lei, nei cui riguardi si sente dominatrice, sicura ma insoddisfatta, l’altro sicuro di sé ed elusivo come il padre, ma anche dolce e materno, da cui sente e teme di dipendere. Iris sembra integrare nei suoi modelli i tratti maschili e femminili contrapposti in quelli di Flora (sceglie per giocare tale parti di volta in volta Flora, Marzio, Martina, o uno dei conduttori a seconda del prevalere, nella particolare situazione rappresentata, di certi tratti su altri) e si rende conto di giocare con ciascuno dei due fidanzati un ruolo identico a quello giocato con lei dall’altro. “Sono il mio specchio” dice. Ritrova inoltre tali ruoli in due rapporti paralleli, uno passato coi genitori, uno attuale col figlio al quale a volte sente di far da madre a volte da padre. Elabora così da diverse posizioni un suo conflitto fra dipendenza ed autonomia. Martina, scelta spesso da Fillide (e talora di Iris), nella parte di sorella-rivale, gioca scene del presente in cui assume una posizione di rottura rispetto ai valori familiari, contrapponendosi ad una sorella o ad un’amica (parti per le quali sceglie spesso Iris) che invece vi si identificano. Altri giochi rivelano un suo atteggiamento materno verso un fidanzato più giovane di lei, vero Puer aeternus, cui piace esibirsi nella parte del maschio farfallone e che le richiama aspetti del fratello, dei privilegi maschili del quale in precedenza, era assai invidiosa. Chiama Marzio ad impersonarli entrambi. Un sogno le chiede di districare tale opposizione: in esso il fidanzato è rappresentato da due gemelli identici corrispondenti al fidanzato della realtà, ma uno dei due (impersonato da Marzio) resta con lei in casa, mentre un altro (impersonato da un altro membro del gruppo) l’attende fuori. Ciò le permette di scoprire di sé due parti, una, che determinava il suo comportamento durante l’adolescenza, legata a valori tradizionali, l’altra che, emersa nel presente, è autonoma e rifiuta estremisticamente ogni regola.

Martina prende, a questo punto, ad interrogarsi su quale sia la sua vera identità, al di sotto delle due parti, in ciascuna delle quali si riconosce soltanto entro certi limiti.

Marzio infine gioca scene nelle quali reagisce bruscamente a figure femminili, impersonate da Martina, con le quali cerca di stabilire una relazione, ma da cui si sente svalutato e minacciato e scene nelle quali appare (anche se ha difficoltà a riconoscerlo) profondamente dipendente da una madre svalutante e risucchiante, impersonata quasi sempre da Flora. Giocando un sogno in cui gli vengono attribuite due automobili, una spider (Martina) e una familiare (Iris) coglie le sue due identità: la prima di figlio di mamma superficialmente brillante come un galletto ma in realtà ancora infantile e dipendente dalla madre, di cui realizza così un desiderio, la seconda l’adulto autonomo e responsabile, capace come il padre di mantenere una famiglia propria e autosufficiente come vorrebbe essere egli stesso.

Nel suo complesso si può dire che il gruppo abbia elaborato le relazioni tra funzioni materne e paterne viste nei loro differenti aspetti in relazione con conservazione e innovazione, dipendenza e autonomia, affettività e razionalità, maschile e femminile.

Ciò che abbiamo descritto può essere considerato come l’uno e l’altro di diversi momenti attraverso cui si esplica l’azione dello psicodramma: la catarsi, l’analisi e l’individuazione.

Per quanto riguarda la catarsi, vogliamo innanzitutto sottolineare come sia da rifiutare la concezione volgare che questa consista nel rivivere un’emozione spiacevole quasi per evacuarla. Tale immagine, oltre tutto, con l’abbandono del superato modello idraulico della psiche, appare sostanzialmente priva di senso. L’intensità della scarica emotiva impressiona sovente coloro che hanno fatto un’esperienza superficiale di psicodramma, così come spesso viene sopravvalutata l’importanza dell’uso del corpo. In realtà emozione e pensiero, corpo e parola sono presenti contemporaneamente come elementi di una situazione che viene vissuta nella sua piena complessità.

Vi sono però scene assai rilevanti il cui tono affettivo è molto attenuato, e del pari, ad esempio, è possibile drammatizzare un episodio inscenando un puro e semplice dialogo, senza che il corpo sia più in gioco di quanto lo sarebbe in una terapia verbale.

Comune a tutte le scene è il fatto, invece, che l’evento sia presentato in quella che Aversa (1987) chiama, contrapponendola all’univocità del discorso riduttivo, equivocità intesa come attitudine a contenere e rinviare ad una molteplicità di nessi, linguaggi e significati.

Non quindi l’emozione e il corpo in quanto tali, ma la feconda contrapposizione dialogica tra il qui ed ora dell’essere in gruppo e l’altrove e allora della scena evocata, tra racconto ed evento, tra dire e rappresentare, discorso indiretto e diretto, univoco ed equivoco è l’essenza dello psicodramma.

In questo contesto il concetto di catarsi viene da Moreno sviluppato a partire dalla concezione di Aristotele secondo cui essa è, nella tragedia, collegata ad intense emozioni che “si presentano inaspettatamente e sono al tempo stesso conseguenza l’una dell’altra”. Secondo Moreno, però, essa è legata alla “realizzazione spontanea e simultanea di un lavoro poetico drammatico nel suo processo di sviluppo” ad opera di un gruppo di persone. “Il paziente-attore è come un fuggiasco che improvvisamente rivela nuova forza perché ha messo piede in un mondo più libero ed ampio. La catarsi è generata dalla visione di un nuovo universo e dalla possibilità di una nuova crescita, mentre l’abreazione ed il sollievo dell’emozione sono solo manifestazioni superficiali. La catarsi inizia nell’attore nel momento in cui egli espone il proprio dramma e culmina nel momento in cui viene raggiunta la svolta cruciale del suo destino”.

Piaget (1960) che trovava troppo vaghe le definizioni moreniane, ha voluto spiegare la catarsi nello psicodramma come conseguenza della socializzazione dell’affettività nascosta vale a dire il fatto che i soggetti, sperimentando i diversi ruoli in un gioco di interazioni, possano mettere in comune i sentimenti reali di ciascuno e quelli che fino a quel momento sono rimasti solo virtuali, non avendo incontrato una situazione in cui concretizzarsi. Tale messa in comune, coinvolgendo gli aspetti più intimi della vita dei soggetti ed insieme il loro pensiero simbolico, permette di differenziare ed al tempo stesso di articolare i punti di vista distinti introducendo tra di essi una reciprocità.

Ancelin Schutzemberger (1975) il cui psicodramma triadico, centrato sul gruppo e sintesi di posizioni moreniane, analitiche e fenomenologico-esistenziali, ha parecchi punti di contatto con quello da noi praticato, descrive la catarsi come “libertà di espressione che permette di rivelare tendenze ignorate, mobilitare ciò che era statico prendendone perciò coscienza, divenendo più accessibili al cambiamento ed a nuovi ruoli”. Ciò sarebbe strettamente collegato al poter comunicare le emozioni anche negative al gruppo, sì da emettere in consonanza il proprio “essere in sé, essere per sé ed essere per gli altri…. l’immagine ideale di sé e l’immagine di sé per gli altri”.

Integrando i concetti sopra riportati si può vedere come la catarsi non sia da intendere come una scarica affettiva, ma piuttosto come una sorta di insight, il nascere di una nuova gestalt, il concludersi di una ricerca e donazione di significato, che si realizza col rivelarsi, attraverso il gioco drammatico, dell’inconscio transpersonale del gruppo e del suo costituirsi, attraverso una rete di ruoli e possibilità di relazione, in una coscienza di gruppo.

Per quanto riguarda l’analisi, tale termine non può essere usato in senso univoco poiché esistono diverse scuole di pensiero che si fondano su concezioni a volte radicalmente diverse della struttura della psiche e ciò rende implicitamente diversi anche oggetto, scopi e senso dell’analisi stessa.

Ma possiamo qui considerare diverse possibilità, che per altro non riteniamo si escludano tra loro.

1) Si può intendere la funzione dell’analisi come il rendere esplicite e coscienti cause e motivazioni del proprio agire. Nello psicodramma, come si è visto nell’esempio riportato, ciò è possibile da un lato attraverso la ricostruzione storica di come i ruoli con relative implicazioni dinamiche si sono costituiti. Essi in genere appaiono identici o complementari ai ruoli di persone significative della storia passata: risultano infatti essersi costituiti non attraverso un meccanismo di introiezione, ma grazie all’interazione con tali persone nel mondo reale, o con le loro rappresentazioni nel mondo fantastico, o, ancora, con il prodursi di una risposta nuova, creativa, a situazioni implicanti conflitti, tensioni, staticità senza uscita, ma anche a messaggi espliciti o latenti sollecitanti nuove aperture. Da un altro lato il lavoro di rendere esplicito il proprio agire avviene col dare voce a parti di sé non riconosciute come tali perché non coerenti e non integrabili al proprio modello cosciente del sentire ed agire, o ancora perché non sufficientemente differenziate e sperimentate. In altri termini, si potrebbe dire, col riappropriarsi delle proprie proiezioni su altri incontrati attualmente nel gruppo o evocati dal passato attraverso i giochi di questo.

2) Funzione dell’analisi può essere intesa un significato mutamento nell’intera struttura dinamica che è base e presupposto della più superficiale funzione dell’apprendere ad adattarsi all’ambiente attuale. Ciò avviene nello psicodramma in quanto la comprensione – attraverso il gioco di eventi passati illustranti situazioni dal cui cristallizzarsi l’attuale situazione si è determinata – crea la condizione per modificare tale struttura. Nei termini di Piaget (1945) il rendere esplicito il modello cui le successive situazioni sono state assimilate (il soggetto prima dell’analisi è cosciente del modello percettivo-motorio, ma non della sua origine) permette di rendere reversibile l’assimilazione di partenza. La struttura dinamica della personalità viene però anche modificata dal rapportarsi a parti di sé non riconosciute o non integrate. Tali parti, con l’essere personificate nel gioco psicodrammatico instaurano un rapporto dialettico tra loro e con il complesso dell’Io, attraverso scene che, pur essendo solo rappresentazioni rispetto alla realtà obiettiva, sono però reali esperienze nell’ambito delle dinamiche interiori. Esse possono proprio per questo apportare reali modificazioni negli equilibri tra parti interne sia nel senso di una migliore integrazione tra loro e differenziazione di ciascuna, sia nell’aprire loro una via per interagire produttivamente con le corrispondenti parti di altri.

3) Funzione dell’analisi può essere intesa anche il determinare le condizioni per un più libero e vivace rapporto dialogico col proprio inconscio, lo sviluppo della capacità di porsi al di fuori della rigidità preconcetta degli schemi dominanti la coscienza, per rendersi disponibile ad ascoltare ed utilizzare le infinite potenzialità innovative e mitopoietiche dell’inconscio stesso, per ritradurle in nuove visioni del mondo ed in nuovi progetti inseriti nella realtà. In quest’ottica il punto di vista junghiano è utile a definire in modo più preciso ed al tempo stesso a sviluppare con un riferimento più profondo le intuizioni moreniane sulla spontaneità e creatività: queste si realizzano attraverso il dialogo con le figure dell’inconscio reso possibile dal fatto che queste siano rappresentate dalle parti in gioco; inoltre la disponibilità a cogliere elementi nuovi e la permeabilità a contenuti altri da quelli coscienti è facilitati dall’esperienza di entrare e uscire continuamente in una molteplicità di punti di vista alternativi, coll’assumere diversi ruoli. E ancora la drammatizzazione di identità e contrastsi avviene attraverso scene che possiamo considerare simboliche (nel senso specifico della psicologia analitica) in quanto mettono assieme più aspetti di realtà esterne legati a molteplici matrici socio-relazionali e realtà emergenti dal profondo della psiche di ognuno, il peso delle determinazioni del passato e le possibilità rinvianti a prospettive future in una tensione che esige continue sintesi creative. In questo senso lo psicodramma attiva, e ciò è un’altra definizione possibile di analitico, quella che Jung (1921) chiama funzione trascendente cioè quella funzione complessa che, composta di altre funzioni della psiche, non si identifica con alcuna di esse, né con la loro somma, ma promuove il passaggio da un atteggiamento ad un altro, superando fratture, scissioni e antitesi tra inconscio e coscienza, creando un contenuto nuovo capace di incanalare le tendenze in contrasto in un alveo comune.

4) In un ulteriore modo di vedere lo psicodramma è analitico, da un punto di vista per così dire affine a quello di Binswanger (1930 e 1935) in quanto il gioco permette all’individuo, che nel momento in cui gioca non è più lo stesso che allora aveva agito nella scena rappresentata, di non fare tutt’uno con la vicenda vissuta ma distinguersi riflessivamente da essa e dal ruolo in essa interpretato, pur assumendosene la responsabilità. Ciò significa sviluppare la funzione di soggetto – essa pure in un certo senso trascendente, cioè di ordine superiore, atta ad operare sul modo e sul senso di altre operazioni – che, attraverso una relazione dialogica con l’Io e i ruoli ad esso riferiti, può dare un senso sia alla propria storia sia alle molteplicità di parti attuali o possibili, proprie e altrui. Ma in un gruppo di psicodramma si assiste anche ad un assumere, nei continui cambi di scena, tale funzione da una pluralità di individui in un complesso confronto intersoggettivo mirante a trovare un senso (o più sensi) diacronicamente alla storia del gruppo e sincronicamente alla molteplicità di angoli visuali in esso rappresentati.

Ultimo punto da prendere in esame è l’individuazione: Strubel in uno studio del rapporto tra gruppi ed individuazione rileva come il Selbst si concretizzi simbolicamente nel gruppo e questo, a sua volta, come totalità simbolica dissemini la sua totalità stessa sui singoli, esprimendosi attraverso i più diversi impulsi, dai più nobili ai più abietti. L’individuazione, afferma ancora Strubel comprende sempre un gioco di scambi tra le ricerche individuali e quelle collettive secondo il senso della vita.

Ma specifico dei gruppi di psicodramma è il come le singole istanze e funzioni, veri Sé parziali, si staglino, grazie al gioco, in forme pregnanti sullo sfondo meno differenziato delle dinamiche di gruppo. Lo psicodramma è anche, come il sogno, un teatro del mondo interiore, me se nel sogno, come osserva Binswanger (1930), gli eventi accadono semplicemente al sognatore, trasportato da esperienze incoerenti e frammentarie, nello psicodramma come nel Binswangeriano divenire desto, l’individuo si fa soggetto attivo, introducendo una continuità e consequenzialità in eventi, immagini e vissuti.

Le parti giocate, i ruoli che con la loro dimensione immaginale e simbolica tendono per così dire inconsciamente a trasformarsi creativamente, a differenziarsi e svilupparsi, a integrarsi con le dimensioni somatica e sociale, a una sintesi che costituisca un progetto perpetuamente rinnovantesi in nuove possibilità, si esprimono così in rapporto dialogico con un logos di gruppo che consciamente ordina, raccoglie, costruisce un senso, un asse portante atto a unificare esperienze e fatti, sentimenti e obiettivi, a trasformare la funzione di vita in storia di vita.

Riprendendo le modalità secondo cui in un gruppo di psicodramma si attualizzano catarsi, analisi ed individuazione, due aspetti ci colpiscono: il primo riguarda come gli stessi eventi di gruppo possano rimandare o essere esplicitati di volta in volta secondo una molteplicità di angoli visuali differenti: accanto al modello moreniano, quello psicoanalitico – per noi prevalentemente ma non esclusivamente junghiano o analitico – esistenziale, quello cognitivista, quello dell’interazionismo simbolico, quelli delle dinamiche di gruppo e della gruppo-analisi, ognuno adatto a evidenziare diversi aspetti o sfumature, ma di per sé non incompatibili.

E’ come se la tecnica e l’esperienza analogica dello psicodramma, di per sé poco vincolata a rigide teorizzazioni a priori, creasse un campo nel quale armonizzare teorie e codici differenti, in vista di una possibile sintesi.

Il secondo punto è il rilevante coincidere di moltissimi punti delle descrizioni di catarsi, analisi ed individuazione, che appaiono come tre aspetti di un unico divenire: la catarsi sembra evidenziarsi meglio quando si prenda in esame lo spazio di una sessione o parte di essa, l’analisi quando si tratti di alcune sessioni, l’individuazione …sembra ritrovarsi accennata nell’intera sequenza di sessioni, da un succedersi di rimandi, un intrecciarsi di trame infinitamente complesse … perché, come dice Eraclito: “I confini dell’anima vai e non li trovi anche a percorrere tutte le strade, così profondo è il Discorso che essa comporta”.

Bibliografia

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